Un'accelerazione dirottata in una pozzanghera

Accelerazioni, slittamenti e frenate. Paesaggi, corpi e volti, storditi da una contemplata velocità. Velocità che inciampa nell'ordinarietà di luoghi e persone, rallentata, posta al servizio di corpi vissuti, usati. Un'accelerazione dirottata in una pozzanghera. La velocità è giovane. La velocità eretta del segno giovane, rincorre la lentezza del vecchio seduto in un rapporto inversamente proporzionale. Giovane è l'occhio e la mano del disegnatore, che guarda il vecchio. L'attrito della grafite si concentra sulla pelle, la testa e le mani: le parti del corpo più soggette alle intemperie. Volontà e desiderio di tastarne la superficie, di verificarne tattilmente la consistenza, anche dove la figura quasi viene assorbita dalla luce circostante penetrando in essa, sottraendo fisicità in favore di una comunione tra corpo e spazio, contenuta in un'esile e flessibile gabbia. Negli incavi, l'impulso a segnare trova rifugio fecondo, e il nero rimane, persiste, quasi per nulla scalfito dalla luce. Entrano ed escono da stanze buie donne abbagliate, erotiche, muovendo gesti indecifrabili per poi mettersi in posa come a dire "adesso puoi guardami". Dimensione periferica, paesaggi dove la figura è assente. I tetti delle baracche come aguzzi pezzi di vetro scagliati nello spazio, in prospettive senza orizzonte. Edifici ridotti a scatole senza porte nè finestre, messi l'uno accanto all'altro; una grande strada li attraversa. Uno spostamento improvviso della testa, dello sguardo, da una parte all'altra, improvvisamente si arresta cercando di mettere a fuoco, indagando senza descrivere la varietà di vegetazione che caratterizza il luogo. Capita a volte che lo sguardo riposi e tragga piacere, ristoro nel posarsi sulla curva di una piccola strada di campagna, tra due muretti, e da li ripartire di fretta perché altre cose per la testa e intorno, spingono altrove, come se non potessimo più permetterci di stare seduti a contemplare il paesaggio. L'impiegato, l'osservatore, il vecchio pescatore, il giovanotto, il taleban, rimandano a categorie umane anonime, collocate negli archivi della nostra memoria, e qui, nell'essere recuperati, vengono chiamati con un nome che non udiamo, ma che da qualcuno è stato pronunciato. Solo di Denise, del suo volto assorto conosciamo il nome, guarda altrove, ed io seguo il suo sguardo, e taccio.